Consiglio di Stato, Sez. II, Sent. 16.02.2024 n. 1563
Preliminarmente è utile ricostruire, brevemente, i principi sanciti dalla giurisprudenza in materia di legittimazione a richiedere la concessione edilizia (poi permesso di costruire), principi formatisi alla luce dell’art. 4 della legge 28 gennaio 1977 n. 10 («La concessione è data dal sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla») e, successivamente, dall’art. 11, comma 1, del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 («Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo»). Si tratta di principi applicabili, come si dirà nel prosieguo, anche all’istanza di sanatoria.
Hanno titolo a richiedere il permesso di costruire tutti coloro che dimostrino di trovarsi con il bene in una relazione qualificata, non necessariamente connessa ad un diritto reale ma derivante anche da rapporto giuridico ad effetti obbligatori.
Così possono richiedere il rilascio del titolo, oltre al proprietario esplicitamente citato dalle norme richiamate, soggetti titolari rispetto al bene di rapporti di natura reale o meramente obbligatoria: l’usufruttuario (Consiglio di Stato, sez. IV, 30/07/2012, n. 4287); il titolare di un diritto di comodato (Consiglio di Stato, sez. IV, 20/07/2011, n. 4370); il titolare di un contratto di leasing (Consiglio di Stato, sez. IV, 20/12/2013, n. 6165); e così via.
Un caso peculiare è quello relativo all’ipotesi delle opere condominiali: sul punto Consiglio di Stato, sez. IV, 11/04/2007, n. 1654 ha sancito il principio secondo il quale «in relazione a lavori edilizi da eseguirsi su parti comuni di un fabbricato e non concernenti opere connesse all’uso normale della cosa comune, l’Amministrazione comunale è tenuta — ai fini del rilascio della relativa concessione — a richiedere il consenso di tutti i proprietari».
Un ulteriore aspetto è quello relativo ai poteri istruttori esercitabili dall’Amministrazione in relazione all’istanza di rilascio del permesso di costruire. Una sintesi efficace sul punto è stata tracciata da Consiglio di Stato, sez. IV, 11/04/2018, n. 2397:
«– la p.a. ha l’onere di accertare con serietà e rigore la legittimazione a chiedere il titolo edilizio (Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823), dovendo accertare che l’istante sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria (Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 2012, n. 1990);
– al riguardo, non si sono mai posti dubbi in ordine ai limiti legali, i quali, trovando applicazione generalizzata, concorrono a formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non pongono problemi di conoscibilità all’Amministrazione che è tenuta a considerarli sempre;
– diversamente, per le limitazioni negoziali del diritto di costruire, la giurisprudenza in passato ha oscillato fra la soluzione che ne esclude ogni rilevanza, nel presupposto che all’Amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati (Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 1993, n. 1341), e quella opposta che, invece, ammette che il Comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto (Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2007, n. 1206);
– la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, superando l’indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie attendibili».
Cons. Stato, sez. IV, 07/09/2016, n.3823, ha applicato i principi appena richiamati proprio alla procedura di rilascio del titolo in sanatoria (di cui si discute specificamente in questa sede) affermando che:
«In sede di procedimento per rilascio di titolo edilizio in sanatoria deve formare oggetto di valutazione, da parte del Comune, la sussistenza di tutti i presupposti cui la legge condiziona il suddetto rilascio e, fra essi, anche la circostanza che l’istanza di sanatoria provenga da un soggetto qualificabile come proprietario dell’edificio oggetto degli interventi della cui sanatoria giuridica si tratti e che abbia l’intera proprietà del bene, e non solo una parte o quota di esso; non può invece riconoscersi la legittimazione al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, atteso che il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento; di conseguenza, in caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, la domanda di rilascio di titolo edilizio, sia esso o non titolo in sanatoria di interventi già realizzati, deve necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti con un diritto di proprietà sull’immobile, potendosi ritenere legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l’esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari; segue da ciò che il titolo edilizio, volto alla realizzazione o al consolidamento dello stato realizzativo di operazioni (incidenti su parti non rientranti nell’esclusiva disponibilità del richiedente), non può essere né richiesto, non avendo il soggetto titolo per proporre tale istanza né, ovviamente, rilasciato in modo legittimo dalla Pubblica Amministrazione».
Si veda anche Cons. Stato, sez. II, 12/03/2020, n. 1766 a cui dire: «Il soggetto legittimato alla richiesta del titolo abilitativo deve essere colui che abbia la totale disponibilità del bene (pertanto l’intera proprietà dello stesso e non solo una parte o quota di esso), non potendo riconoscersi legittimazione al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, e ciò per l’evidente ragione che, diversamente considerando, il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento».