Consiglio di Stato, Sez. III, Sent. 25.03.2024 n. 2815
L’atto della Provincia viola inoltre la direttiva “Bolkestein” e la disciplina interna di attuazione, come interpretati dalla giurisprudenza consolidata.
In particolare, con sentenza della IV Sezione n. 5394 del 2021, che compendia i principi consolidati in questa materia, si è osservato che «il Consiglio di Stato (ex plurimis sez. IV, nn. 4810 del 2020, 2762 del 2018, 4810 del 2018, 2026 del 2017, 1494 del 2017), ha analizzato funditus il rapporto tra i limiti imposti dagli atti della pianificazione urbanistica e i principi in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi sanciti dalla direttiva 123/2006/CE e dai provvedimenti legislativi che vi hanno dato attuazione, partendo dalla premessa che la disciplina comunitaria della liberalizzazione non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l’attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali. La conclusione a cui si è pervenuti – e che questo Collegio condivide – è che la questione involge tipicamente un giudizio sulla proporzionalità delle limitazioni urbanistiche opposte dall’autorità comunale rispetto alle effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio (cfr. Corte giustizia UE, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 345; sez. II, 24 marzo 2011, n. 400); esigenze che, per l’appunto, devono essere sempre riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e non fondate su ragioni meramente economiche e commerciali, che si pongano quale ostacolo o limitazione al libero esercizio dell’attività di impresa che non deve comunque svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (in argomento da ultimo, proprio in materia di apertura di strutture di vendita e di rapporti fra la direttiva 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE, c.d. Bolkestein, v. Corte cost., 25 febbraio 2016, n. 39; Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1860; 13 gennaio 2014, n. 70)».
Più di recente, con sentenza n. 4294 del 2023 della medesima Sezione si è precisato che «gli atti della programmazione territoriale sono stati ritenuti dalla giurisprudenza non esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se, in concreto, essi perseguano effettivamente finalità di tutela dell’ambiente urbano o siano, comunque, riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese».
Applicando i principi sopra richiamati al caso di specie, ne discende che, sebbene gli strumenti urbanistici possano individuare la destinazione dei suoli e le varie attività che su di essi possono esplicarsi, una volta che venga ammessa una particolare tipologia di uso commerciale (e nella specie la delibera appunto consente l’attività di commercio al dettaglio) non è poi legittima l’introduzione di restrizioni quantitative al numero di esercizi (come appunto la limitazione «ad un solo esercizio di vicinato per ogni azienda»), la quale non si configura quale prescrizione meramente urbanistica, ma si traduce in una limitazione ingiustificata e discriminatoria della libertà di stabilimento e della libertà d’impresa e in una regolazione indebita dell’offerta sul mercato.