Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. 18.07.2025 n.6334
[…] sostiene che l’intervento da essa progettato non sarebbe idoneo a produrre alcuna compromissione al bene tutelato, posto che il fabbricato non verrebbe alterato in alcuna delle sue caratteristiche architettoniche rilevanti, quali evincibili dalla relazione annessa al D.M. n. 153/2016, che ha imposto il vincolo.
14.3.2. Il Collegio rileva, anzitutto, che secondo quanto si legge nella relazione storico-artistica allegata al D.M. n. 153/2016 ha imposto il vincolo sul complesso edilizio in questione […] in quanto edificio risalente, almeno in alcune parti, al XVIII secolo […]. La relazione descrive il fabbricato, ma non con la finalità di individuare i singoli elementi architettonici oggetto di tutela, ma solo per consentire l’individuazione del corpo di fabbrica assoggettato a tutela nella sua totalità.
14.3.3. Il Collegio osserva, quindi, che la finalità del vincolo culturale è desumibile dall’art. 20 del D. L.vo n. 42/2004, il quale stabilisce, con affermazione astratta e generale, che “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”: ed è a tale fine che l’art. 21 impone l’obbligo di chiedere la preventiva autorizzazione per qualsiasi intervento, distinguendo tra le autorizzazioni di competenza ministeriale e quelli di competenza del soprintendente.
14.3.4. Orbene, “distruzione”, “danneggiamento” e “deterioramento” indicano diversi gradi di offesa a un bene: la distruzione implica la perdita definitiva, completa o quasi completa, dell’identità o della funzionalità del bene; il danneggiamento si riferisce a una lesione di natura fisica o funzionale, che ne compromette l’integrità, ma non necessariamente la sua esistenza; il deterioramento indica, invece, un’alterazione che peggiora le condizioni del bene nel tempo, senza necessariamente causare una lesione immediata o grave. In pratica la distruzione è un evento definitivo, il danneggiamento è una lesione immediata ma non irreversibile, mentre il deterioramento è un processo graduale di decadimento che può portare alla perdita del bene nel tempo. Ciò che, allora, si vuole qui sottolineare è che la tutela derivante dalla imposizione di un vincolo culturale protegge il bene anche da interventi idonei a determinare anche un semplice deterioramento, che non necessariamente si traduce in una asportazione/ablazione di parti fisiche del bene, o in un vero e proprio danneggiamento strutturale/ funzionale, potendosi estrinsecare anche nella perdita di qualità estetiche. E la valutazione circa l’idoneità di un intervento a deteriorare un bene culturale, nel senso dianzi precisato, appartiene alla sfera dell’ampia discrezionalità attribuita alla Soprintendenza.
14.3.6. Quanto sin qui detto evidenzia che la valutazione negativa effettuata dalla Soprintendenza nel caso di specie non può ritenersi irragionevole, illogica o sproporzionata solo perché si traduce nell’appoggiare alla copertura dell’edificio degli elementi di dimensioni relativamente ridotte, in rapporto a quelle dell’edificio, senza che ciò richieda la manomissione, quantomeno in modo evidente o esteso, del corpo di fabbrica e senza che ciò possa causare danni immediati o evidenti o lesioni in grado di aggravarsi: il punto è che si tratta della aggiunta di elementi del tutto estranei allo stile architettonico del corpo di fabbrica, certamente visibili e come tali di per sé idonei ad impattare sull’estetica di esso, che procura un’alterazione che non irragionevolmente può qualificarsi in termini di deterioramento.
14.3.7. Quanto al fatto che la Soprintendenza non avrebbe effettuato una valutazione dell’impatto specifica, il Collegio rileva, in primo luogo, che se ogni intervento dovesse essere valutato singolarmente, prescindendo dagli eventuali danni/deterioramenti preesistenti e prescindendo inoltre dalla valutazione di possibili futuro interventi, si perverrebbe ad una valutazione atomistica che non restituirebbe il quadro dell’effettivo impatto che il singolo intervento è idoneo a produrre, nella immediatezza e nel tempo. Va soggiunto che la discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nella valutazione della idoneità lesiva – nei sensi sopra indicati – di un intervento consente anche un corretto bilanciamento dei vari interessi in gioco, che talora può tradursi nel consentire un intervento a prima vista più impattante (come la posa di pannelli fotovoltaici o di un vano ascensore) ma indispensabile per rendere l’immobile concretamente fruibile (ad esempio, perché abitato da un disabile) o energeticamente più efficiente.
14.3.8. Infine si deve evidenziare che la valutazione di compatibilità di un intervento rispetto a un vincolo paesaggistico necessariamente differisce rispetto alla valutazione di compatibilità rispetto a un vincolo culturale, atteso che il primo attiene ad una porzione di territorio (cfr. la nozione di paesaggio come definita dalla Convenzione Europea del paesaggio, ovvero una parte del territorio così come percepita dalle popolazioni, il carattere deriva dall’azione e interazione di fattori naturali e/o umani) connotato perciò da una certa dimensione fisica, mentre il secondo attiene a un singolo bene: la valenza impattante di un singolo intervento è quindi inevitabilmente differente rispetto ai due vincoli. Tale considerazione spiega perché il precedente invocato dall’appellante, di cui alla sentenza n. 9217/2023 di questa Sezione, non si attaglia al caso in esame: occorre infatti rilevare che il principio affermato in quella decisione (“Seppur astrattamente possa aderirsi all’idea che in un contesto già compromesso dalla presenza di infrastrutture, l’installazione di un nuovo impianto può determinare un impatto cumulativo sull’area vincolata, tale da pregiudicarne l’integrità, appare tuttavia necessario che, a fronte di situazioni che all’apparenza si presentano del tutto identiche (come nel caso di specie), l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo spieghi le ragioni concrete, in rapporto al contesto di riferimento, per cui, a fronte della precedente autorizzazione di un’opera, non debba invece esserne autorizzata una seconda identica per tipologia costruttiva e funzione, che, quantomeno sulla base della rappresentazioni progettuali e salva ogni successiva valutazione da parte dell’ente competente, appare incidere in modo similare sul territorio, anche considerando cumulativamente l’impatto paesaggistico delle due opere.”) si riferiva a un diniego di autorizzazione paesaggistica, che richiede di valutare l’incidenza di un’opera rispetto ad un territorio che ha solitamente dimensioni quantificabili in ettari e che deve essere valutato nel suo insieme: è evidente che, invece, nel caso in cui si tratti di valutare un vincolo culturale, che afferisce a un singolo bene, la preesistenza di interventi che già abbiano compromesso lo stato del bene ha una incidenza molto maggiore e quindi si deve ammettere che, anche in mancanza di prescrizioni di tutela che vietino a priori determinati interventi, la Soprintendenza possa ad un certo momento vietarne di ulteriori, quantomeno quando non si tratti di interventi indispensabili per la fruizione dell’immobile o per l’efficientamento energetico, che costituisce all’attualità elemento di grande rilevanza sia per la proprietà che per la collettività.
14.3.9. Tutto ciò porta a ritenere adeguata, congrua e scevra da vizi logici sindacabili in sede di legittimità, la motivazione adotta dalla Soprintendenza nel preavviso di rigetto e nel diniego di autorizzazione ex art. 21 del D. L.vo n. 42/2004, laddove afferma che l’intervento in esame, in ragione della preesistenza dell’impianto fotovoltaico e di un’altra antenna sulla copertura dell’edificio, comporterebbe “un ulteriore aggravio dell’attuale situazione di degrado”, “mancanza di decoro”, implicando una ulteriore “cumulazione di impatti significativi negativi” connessi al cumulo di “di impianti tecnologici del tutto estranei ai rilevanti caratteri architettonici, figurativi, spaziali e tipologici del bene culturale tutelato”, e conseguente degrado del piano di copertura dell’immobile, che verrebbe ad assumere la funzione di “mero supporto impiantistico incompatibile con le specifiche connotazioni architettoniche e spaziali di tale pregiato edificio rurale tradizionale posillipino…”.
14.3.10. Quanto al fatto che l’intervento in considerazione riguarda un’opera equiparata a quelle di urbanizzazione primaria, connotata da esplicito favor del legislatore europeo e nazionale, il Collegio considera che, diversamente dalle opere di efficientamento energetico e da quelle necessarie per la fruibilità, stabilità, o messa in sicurezza di un edificio, le quali non possono che essere realizzate sull’edificio cui afferiscono, o nelle immediate pertinenze, gli impianti di telecomunicazione in linea di principio possono essere localizzati in qualunque luogo che assicuri la qualità del segnale: pertanto, nel bilanciamento dei contrapposti interessi quello della impresa di telecomunicazione potrà essere ritenuto in tesi non recessivo, rispetto al vincolo monumentale, quando l’impresa di telecomunicazioni dimostri che solo un determinato bene culturale offra la possibilità di garantire l’adeguata copertura del segnale.
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