L’esonero dal versamento del contributo di costruzione (art. 17 TUE) non opera per gli impianti “privati” di smaltimento rifiuti.

Consiglio di Stato, Sez. IV, Sent. 03.04.2025 n.2859

7. Questione centrale del presente contenzioso è l’interpretazione dell’art. 17, comma 3, lett. C) del d.P.R. 380/2001, secondo periodo, che prevede espressamente che il contributo di costruzione non è dovuto nel caso di “impianti, le attrezzature, opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati in attuazione di strumenti urbanistici”.

Sul punto, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (cfr. ex multis, sent. Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 3556/2023) ha affermato costantemente che “La strumentalità rispetto all’esercizio di un servizio pubblico non è sufficiente ad integrare la nozione di “impianti, attrezzature, opere pubbliche o di interesse generale”, di cui all’art.17, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001), in quanto la stessa dipende da scelte discrezionali e, quindi, revocabili, della società, “dovendosi dunque concludere che a rilevare non è la destinazione che soggettivamente s’intende dare alla struttura, bensì la sua natura oggettiva: solo laddove l’opera non possa, neppure in astratto, avere una destinazione diversa da quella pubblica si potrà dunque configurare il presupposto per l’esonero dal pagamento del contributo di costruzione” (Cons. Stato, Sez. IV, 31 agosto 2016, n. 3750).

L’esenzione prevista dal citato art. 17 necessita infatti che l’opera sia, per le sue oggettive caratteristiche, esclusivamente finalizzata ad un utilizzo a tempo indeterminato dell’intera collettività. […]”

Ed ancora (cfr. ex multis, sent Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 5074/2021): “Ebbene, va confermato in questa sede l’orientamento espresso da questo Consiglio (sezione IV sentenza n. 5942 del 17 ottobre 2018) in un caso analogo […] concludendo nel senso dell’inapplicabilità dell’invocato regime di esenzione. In particolare, si è osservato che “univoco orientamento giurisprudenziale subordina il riconoscimento della gratuità del permesso di costruire, ossia l’esenzione dal contributo, ad un duplice requisito oggettivo e soggettivo: la destinazione funzionale dell’opera e la sua realizzazione a cura di soggetti pubblici, sia essa diretta o indiretta, e quindi, in questa seconda ipotesi, “…qualora (come avviene nella concessione di opera pubblica e in altre analoghe figure organizzatorie) lo strumento contrattuale utilizzato consenta formalmente di imputare la realizzazione del bene direttamente all’ente per conto del quale il privato abbia operato…(e in definitiva)…se il privato abbia agito quale organo indiretto dell’amministrazione, come appunto nella concessione o nella delega” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11 febbraio 2016, n. 595; nello stesso senso ancora più di recente Sez. IV, 20 novembre 2017, n. 5356; nel senso che “…solo laddove l’opera non possa, neppure in astratto, avere una destinazione diversa da quella pubblica si potrà dunque configurare il presupposto per l’esonero dal pagamento del contributo di costruzione” vedi Sez. IV, 30 agosto 2016, n. 3721; nella prospettiva dell’evoluzione della nozione di pubblica amministrazione può ammettersi l’ampliamento del requisito soggettivo soltanto per “…soggetti privati (imprenditori individuali, società per azioni) che esercitino un’attività pubblicisticamente rilevante, ponendosi in una condizione di longa manus della p.a.”: Sez. IV, 6 giugno 2016, n. 2394”. Deve quindi conclusivamente escludersi l’applicabilità della prima parte della norma per difetto del requisito soggettivo richiesto dalla stessa. Ritiene, inoltre, il Collegio (…)che l’appellante costituisce un soggetto imprenditoriale che per sua natura persegue uno scopo di lucro. In tal caso, infatti, il costo di costruzione assume una particolare giustificazione in ragione proprio della finalità lucrativa che l’ente commerciale persegue. Ritiene l’appellante che si deve accedere ad una lettura costituzionalmente orientata della norma che, in sintonia con l’art. 43 (che offre una concezione oggettiva di servizio pubblico) e del novellato art. 118 della Costituzione in tema di sussidiarietà, porterebbe alla piena equiparazione tra strutture pubbliche e private operanti in regime di convenzionamento/accreditamento. Anche tali deduzioni trascurano la consustanziale reversibilità della destinazione sanitaria e la finalità lucrativa cui essa è preordinata.

Nemmeno può fondatamente assumersi l’applicabilità della seconda parte della norma ritenendosi che l’immobile debba qualificarsi come opera urbanizzativa secondaria realizzata da soggetto privato. Valgono anche in tal caso le considerazioni rese da questo Consiglio con la mentovata pronuncia, osservandosi che “la disposizione richiede, infatti, che si tratti di opere realizzate “in attuazione di strumenti urbanistici”, ossia che vi sia una previsione specifica e puntuale di un’opera di urbanizzazione la cui realizzazione sia consentita anche a privati. In altri termini, deve rilevarsi la essenziale distinzione tra la conformità dell’opera alla destinazione di zona, e attuazione di destinazione, e quindi di previsione, specifica di piano. Il Collegio ritiene decisivo il rilievo di tale distinzione, dalla quale discende che la semplice riconduzione all’astratta tipologia di opera d’urbanizzazione secondaria non può considerarsi sufficiente ai fini dell’esenzione del contributo. Sotto tale aspetto non è casuale che l’art. 17 comma 3 lettera c) del D.P.R. n. 380 del 2001 ponga su un piano di equivalenza, ai fini dell’esonero dal contributo, “gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti”, e “le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici”. L’equiparazione si giustifica proprio in funzione della circostanza che si tratta di specifiche opere urbanizzative individuate dallo strumento urbanistico, ancorché la loro realizzazione sia poi eseguita da privati, come accade ad esempio nel caso in cui nel quadro di una convenzione e a fronte di una iniziativa edificatoria il privato assuma l’onere di realizzare le specifiche opere urbanizzative previste in quella maglia”.

La stessa giurisprudenza amministrativa ha evidenziato il carattere eccezionale e derogatorio delle ipotesi di concessione edilizia gratuita, a fronte del principio generale che è, invece, quello della sua onerosità, cosicché l’esenzione dal contributo concessorio riguarda ipotesi tassative e da interpretare in senso restrittivo (Cons. Stat. sez IV, 29 dicembre 2023 n. 11329).

7.1. Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso in esame, non vi è dubbio che l’intervento in esame sia stato realizzato con autorizzazione unica, che ha determinato una variante dello strumento urbanistico, da un soggetto privato per una finalità imprenditoriale.

L’opera in parola pertanto non rientra tra quelle di cui alla prima parte dell’art. 17, comma 3, lett. c) cit. che riguarda interventi non necessariamente correlati alla collettività locale di riferimento, quali «gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale» per i quali si chiede che siano realizzati «dagli enti istituzionalmente competenti», bensì nella seconda parte della citata disposizione ossia quella di «opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici».

In primo luogo, per essere legittimata all’esenzione dal contributo di costruzione l’opera deve contribuire con vincolo indissolubile all’erogazione diretta del servizio, non essendo sufficiente un rapporto strumentale tra le opere e il servizio, non idoneo a soddisfare direttamente interessi pubblici né essendo sufficiente che le opere rendano più agevole la fruizione del servizio (cfr. Cons. Stato n. 3422 del 2018).

In definitiva, il discrimine è nella diretta contribuzione delle opere alla erogazione del servizio pubblico.

La conseguenza è che non può assumere rilievo, ai fini dell’esenzione del pagamento, la possibilità che le opere in futuro, per effetto della concessione o di accordi convenzionali, possano divenire di proprietà pubblica, elemento mancante nel caso in esame.

Inoltre, nel caso in esame, manca anche l’ulteriore requisito previsto dalla disposizione sopra indicata poiché non può affermarsi neanche che l’opera sia stata realizzata in “attuazione dello strumento urbanistico”: invero, lo strumento urbanistico non la prevedeva tant’è che è stata realizzata una variante mercè lo strumento dell’autorizzazione unica che di fatto realizza per l’amministrazione locale una variante imposta dall’alto in quanto prevista ex lege.

Conseguentemente, l’opera pacificamente non rientra – anche alla luce della consolidata giurisprudenza amministrativa sopra richiamata – nel caso di esenzione dal contributo di costruzione che pertanto è dovuto, con la conseguente legittimità del provvedimento impugnato.

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