Consiglio di Stato, Sez. II, 09.11.2020, n. 6863
La legittimazione ad agire contro una procedura espropriativa spetta sia ai proprietari dei terreni colpiti che a tutti gli altri soggetti titolari di un interesse qualificato ad essi ricollegabile, che deve essere provato sulla base di un titolo giuridico; ai fini della sussistenza della legittimazione attiva all’impugnazione degli atti di una procedura ablativa, cioè, non è ritenuto essenziale che la relazione giuridica col bene immobile sia costituita dal diritto di proprietà, ma è sufficiente l’esistenza di un diritto reale o personale di godimento su cosa altrui, ossia comunque una relazione giuridica qualificata con il bene oggetto del provvedimento ablativo, tale da identificare una posizione giuridica soggettiva individualizzata e specifica che connoti un interesse all’annullamento dell’atto ablativo.
La Sezione affronta il problema della legittimazione attiva dei titolari di un diritto reale o personale di godimento avuto riguardo ad una procedura di esproprio. La titolarità in capo ai ricorrenti di una “concessione livellaria” consente di riconoscere loro una posizione giuridica qualificata azionabile in giudizio parificabile a quella del titolare di un diritto di enfiteusi. Ciò non può non valere anche in caso di azioni meramente risarcitorie o restitutorie, nel limitato ambito di ammissibilità delle stesse innanzi al giudice amministrativo alla luce dei principi affermati di recente dalle pronunce dell’Adunanza plenaria nn. 2, 3, 4 e 5 del 2020. Ciò rende pertanto irrilevante la prova della proprietà piena dei terreni ai fini della riconosciuta legittimazione, impattando la stessa casomai sul quantum della richiesta, ma non sull’an.
Tra i titolari di diritti reali o personali di godimento, solo l’enfiteuta è espressamente preso in considerazione ai fini della corresponsione dell’indennità di esproprio; per contro, agli altri non è riconosciuto il diritto ad indennità aggiuntive, risolvendosi la relativa posizione sul piano dei rapporti con la proprietà, la tutela della pienezza del ristoro della quale è rafforzata dalla riconosciuta possibilità di proporre l’opposizione alla stima, ovvero di partecipare al giudizio già instaurato allo scopo.
L’art. 42 bis, d.P.R. n. 327 del 2001, pur essendo rubricato in termini generali “utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico”, declina alla lettera l’acquisizione al patrimonio indisponibile dello stesso e la corresponsione “al proprietario” dell’indennizzo per il danno subito, quantificato nel 10 % del valore venale del bene. Il combinato disposto di tale disposizione con la previsione della titolarità del diritto all’indennizzo anche per l’enfiteuta – e dunque, mutatis mutandis, per il livellario, cui si riferisce il caso di specie- non possa non imporre all’Amministrazione procedente di attivarsi per concludere il procedimento avviato, acquisendo o restituendo il bene, previa rimessione in pristino, all’esito di motivata valutazione comparativa degli interessi in gioco, siccome chiarito dall’Adunanza plenaria nelle decisioni nn. 2, 3, 4 e 5 del 2020.
fonte: sito della Giustizia Amministrativa