Consiglio di Stato, Sez. II, Sent. 02.04.2025 n.2814
8. Va ora ricordato come la parziale difformità dal permesso di costruire costituisca una categoria residuale presupponente che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, sia stato realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e assentite a livello progettuale, comunque tali da non snaturarne la consistenza. Si è, pertanto, in presenza di difformità parziale quando le modificazioni incidono su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera.
8.1. La totale difformità, invece, al pari della variazione essenziale, si ha quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione o ubicazione.
9. La disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni, che completa la parte definitoria degli interventi, contempla tre fattispecie ordinate secondo la loro gravità, per le quali è comunque prevista, almeno in via astratta, l’ingiunzione a demolire l’opera realizzata: l’ipotesi di interventi in assenza di permesso o in totale difformità; l’ipotesi intermedia di variazioni essenziali dal titolo edilizio; l’ipotesi residuale della parziale difformità da esso.
9.1. Il concetto di variazione essenziale attiene più propriamente alla modalità di esecuzione delle opere e va pertanto distinto dalle “varianti”, che pur afferendo alla medesima, consentono di adeguare il titolo autorizzativo originario in corso di edificazione (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 giugno 2021, n. 4279; id., 6 febbraio 2019, n. 891). Mentre, cioè, le varianti in senso proprio, ovvero le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante (rectius, a d.i.a., in luogo della presentazione della quale il privato può optare per la richiesta di titolo esplicito), complementare ed accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire; le varianti essenziali, caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall’art. 32 del d. .R. n. 380 del 2001, sono soggette al rilascio di un permesso di costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto al primo, e per esso valgono le disposizioni vigenti al momento della loro realizzazione (cfr. Cassazione penale, sez. III, 27 febbraio 2014, n. 34099). Detto altrimenti, per distinguere la possibilità di utilizzare una concessione in variante in luogo di una nuova concessione occorre che le modifiche quantitative e qualitative siano compatibili con il disegno globale che ha ispirato il progetto originario in modo che la costruzione stessa possa considerarsi regolata dal titolo originario.
10. Nel caso di specie, tuttavia, la natura abusiva dell’intervento e la tipologia di sanzione da irrogare non erano opinabili, insistendo lo stesso in area vincolata cui era applicabile l’art. 32, comma 3, secondo periodo, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, così come sostenuto dalle appellanti nel secondo motivo di gravame. La qualificazione dell’illecito, pertanto, in termini di totale difformità, di variazione essenziale ovvero di parziale difformità non incide sulla doverosità della sanzione demolitoria comunque riconducibile all’art. 31, comma 2, del medesimo decreto.
10.1. Il richiamato art. 32 del T.u.ed., infatti, dopo aver declinato la nozione di “variazione essenziale” demandandone l’individuazione alle regioni entro indici ben delineati (comma 1), prevede(va) nella formulazione vigente sino al 27 luglio 2024, che gli interventi qualificati tali, ove «[…] effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali».
10.2. Avuto riguardo all’interpretazione giurisprudenziale, il Consiglio di Stato, nell’applicare l’art. 32, comma 3, secondo periodo, del d.P.R. n. 380 del 2001, ha significativamente affermato che le difformità riscontrate, quale che ne sia la consistenza, devono dunque essere ricondotte a quest’ultima ipotesi. In altre parole, ove gli interventi non costituiscano ex se variazioni essenziali, per le quali trova applicazione il regime sanzionatorio di cui agli artt. 31 e 44 del T.u.ed., essi vengono comunque equiparati alle stesse per così dire ope legis (sul punto, v. anche Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2022, n. 5421; id., 30 ottobre 2020, n. 6651). Deve dunque precisarsi come non costituiscano in nessun caso ipotesi di parziale difformità dal permesso di costruire ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 le opere eseguire su immobili soggetti a vincoli di tutela oppure su aree vincolate (come nel caso di specie). In tali ipotesi, l’art. 27, comma 2, prevede sempre la demolizione, senza acconsentire a forme alternative di sanzione (come quella pecuniaria di cui all’art. 34).
[…]
10.3. Anche la giurisprudenza penale si è espressa nel senso che, in presenza di un vincolo, le difformità dal titolo edilizio assumono, nella sostanza, valenza di difformità totali, statuendo che «[…] ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, comma terzo, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali» (così, tra le altre, Cass. penale, 24 novembre 2020, n. 32736).
11. Rileva il Collegio come le due ipotesi contemplate nella previgente stesura della norma in esame conseguissero ad una precisa scelta del legislatore di punire con maggior rigore gli scostamenti, anche minimali – fatta evidentemente eccezione per il regime delle c.d. “tolleranze costruttive” – dall’atto di assenso ove l’intervento edilizio sia realizzato su immobili o aree soggette a particolari regimi di tutela, ponendo in essere una vera e propria fictio iuris che rende superfluo qualsiasi maggior approfondimento in fatto e/o in diritto. Le opere realizzate sugli immobili di cui all’art. 32, comma 3, dunque, anche se minori e anche se accedono ad altre legittimamente edificate, mantengono comunque una specifica e predeterminata rilevanza, poiché le esigenze di tutela dell’area sottoposta a vincolo implicano l’immodificabilità dello stato dei luoghi senza il previo avallo ovvero al di fuori dei confini dello stesso, degli organi istituzionalmente competenti. Tale scelta (di qualificare almeno come “variazione essenziale” qualunque intervento effettuato su immobili sottoposti a vincolo ambientale, paesaggistico, idrogeologico o storico-artistico) trovava giustificazione nel carattere di assoluta preminenza che i beni giuridici oggetto della disciplina vincolistica hanno rispetto agli altri che vengono in rilievo nella difesa del territorio, assurgendo la tutela degli stessi al rango di principi fondamentali dell’ordinamento. Essa infatti si fonda sull’art. 9 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, la cui novella ad opera della legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, depone nel senso di un rafforzamento del livello di salvaguardia anche in prospettiva di conservazione del bene-ambiente, intriso di tutti i suoi valori, anche culturali, per le generazioni future e di promozione dello sviluppo sostenibile (Cons. Stato, sez. IV, 21 marzo 2023, n. 2836).
12. Il Collegio ritiene che la ricostruzione proposta trovi conferma anche nella nuova stesura della norma, come conseguita alla legge n. 105 del 2024, di conversione del d.l. n. 69 del 2024 (c.d. decreto “salva casa”), che ha invece inteso sopprimere tale equiparazione, eliminando la parte finale del comma 3 dell’art. 32 del d.P.R. n. 380 del 2001. A ciò è conseguito il venir meno del regime sanzionatorio più severo nei casi di parziali difformità dal titolo, per le quali non opera più la assimilazione normativa alla variazione essenziale di cui al comma 1 della medesima norma.
13. Preso atto che comunque il regime sanzionatorio, tanto per i casi di totale che di parziale difformità, è quello demolitorio, occorre ancora chiarire l’interesse delle appellanti alla riforma della sentenza nella parte in cui ha ritenuto (più) corretto far riferimento alla seconda, piuttosto che alla prima ipotesi.
14. In realtà, lo spartiacque è rappresentato da un lato dalla possibilità di monetizzazione dell’abuso (c.d. “fiscalizzazione”) prevista solo in ridetta ipotesi per i casi in cui la demolizione «non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità» (art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001); dall’altro, dalle conseguenze dell’inottemperanza alla sanzione ripristinatoria, che esclusivamente ove si versi in una situazione di totale difformità o variazione essenziale (oltre che, ovviamente, di radicale mancanza del permesso di costruire) sfocia nell’acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime al patrimonio del Comune.
[…]
16. Assai più complesso si palesa lo scrutinio del terzo motivo di appello, nel quale le ricorrenti contestano la asserita genericità dell’individuazione dell’oggetto della demolizione. L’ordinanza del 2020, infatti, non chiarisce –recte, sembra non chiarire – con precisione quale parte del manufatto debba essere demolito, ovvero finanche se ridetta demolizione lo investa nella sua interezza.
17. La questione non è di poco momento in quanto afferisce all’esatta interpretazione da dare all’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, laddove equipara, quanto a regime sanzionatorio, i casi di totale difformità dal titolo e variazione essenziale, a quelli di sua assoluta mancanza, con ciò lasciando presumere che laddove l’intervento si sia a tal punto discostato dalla progettualità originariamente avallata, tale avallo è da considerare tamquam non esset, sicché nessuna differenza può sussistere rispetto alla fattispecie di sua riscontrata carenza assoluta. L’avvenuta realizzazione dell’aliud pro alio, cioè, proprio in quanto tale, finirebbe per vanificare e travolgere anche la parte di costruzione legittimata dal titolo che si è radicalmente travalicato, rendendone impossibile, in diritto, prima ancora che in fatto, il “recupero”.
Tale approccio rigoroso parrebbe trovare conforto, oltre che nella ricordata lettera dell’art. 31, nell’impostazione sistematica del Testo unico, che contempla un’unica ipotesi di valutazione della salvaguardia della parte “legittima” di un immobile con riferimento al caso di “fiscalizzazione” degli interventi eseguiti in parziale difformità. Il tecnico del Comune, infatti, in tali casi deve tener conto della possibilità di effettuare il ripristino senza comprometterla. Per contro, l’analoga valutazione richiesta agli uffici comunali per accedere alla monetizzazione dell’abuso nei casi di variazione essenziale o totale difformità dal titolo legittimante la ristrutturazione edilizia (art. 33), quindi afferenti a interventi su un patrimonio edilizio preesistente, deve basarsi esclusivamente su analisi di tipo tecnico-esecutivo.
18. Il Collegio ritiene tuttavia che al quesito posto non possa essere data una risposta univoca, dovendo essere vagliata caso per caso la frazionabilità della demolizione, ovvero la sua realizzabilità in concreto senza attingere la parte legittima, intesa come parte del manufatto che si sarebbe potuto realizzare regolarmente. Ciò appare sicuramente più semplice laddove la difformità totale consegua alla realizzazione di una superfetazione immobiliare, che se sono state alterate radicalmente le connotazioni strutturali e morfologiche dell’unico fabbricato, nel qual caso è evidente che pur in assenza di specificazioni da parte dell’amministrazione la demolizione/ripristino non potrà che essere radicale.
18.1. In tale direzione depongono, mutatis mutandis, i principi di proporzionalità e conservazione da ultimo richiamati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, laddove ha differenziato le ipotesi riconducibili all’avvenuta edificazione di un fabbricato rimasto incompiuto e non ultimabile giusta l’avvenuta decadenza dal titolo edificatorio (Cons. Stato, A.P., 30 luglio 2024, n. 14).
Saranno cioè le Amministrazioni vigilanti ad indicare l’esatto oggetto della demolizione in quanto identificabile con la parte difforme, ancorché radicalmente difforme, salvo le divergenze esecutive siano tali da compenetrare inscindibilmente il realizzato nell’assentito, neutralizzando in toto la portata abilitativa di quest’ultimo.
18.2. D’altro canto, proprio nei casi di parziali difformità in area sottoposta a vincolo, il previgente regime di assimilazione a variazione essenziale rende preferibile tale ricostruzione, ben potendosi “accettare” una regolarizzazione che non faccia tabula rasa del pregresso, fermo restando il ricordato regime sanzionatorio.
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