La coesistenza di sanzioni demolitorie disposte dal Comune e dal Giudice penale: chiarimenti giurisprudenziali in merito all’imputabilità dell’ordine di ripristino e delle spese di demolizione sostenute dalla P.A..

Consiglio di Stato, Sez. II, Sent. 22.05.2025 n.4471

15. Come noto, il sistema sanzionatorio previsto dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, T.u.ed., si articola su due livelli, nel senso che alle sanzioni per così dire principali, di natura penale o amministrativa, si sommano quelle amministrative di tipo ripristinatorio, previste obbligatoriamente per i casi di maggiore gravità, ovvero afferenti alla carenza o alla grave difformità dal permesso di costruire. […]

16. Destinatari dell’ingiunzione a demolire, nel sistema sanzionatorio a cura del Comune, sono sia il proprietario dell’immobile che i responsabili dell’abuso. Il primo, tuttavia, viene coinvolto non in forza di una sua responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell’illecito edilizio (che ricade esclusivamente sui soggetti di cui all’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001), ma in ragione del suo rapporto materiale con la res che lo rende tale agli occhi del legislatore. A tale titolo egli è dunque investito di situazioni giuridiche passive di tipo sussidiario consistenti in un pati (non potendosi opporre alla demolizione di quanto abusivamente realizzato) e in obblighi di collaborazione attiva da adempiersi mediante iniziative dirette, come la rimozione dell’abuso a spese dei responsabili, o indirette, come l’inoltro di diffide di carattere ultimativo rivolte verso eventuali soggetti terzi che detengano l’immobile.

16.1. Il proprietario assume, quindi, una responsabilità di tipo “sussidiario”, nel senso che, pur quando non sia in alcun modo l’autore dell’abuso, è tenuto a dare esecuzione all’ordine di demolizione, purché ciò gli sia materialmente possibile. Da qui la richiesta notifica dell’ingiunzione a demolire anche allo stesso, la cui mancanza non si ritiene inficiante la validità dell’atto, ma influente sulla regolarità dell’avvio della procedura ripristinatoria, come tale anche sollecitatorio dell’esercizio delle facoltà e del diritto di difesa dello stesso. In caso di inottemperanza, infatti, è il proprietario che subisce la assai più pesante sanzione di secondo livello rappresentata dalla perdita del bene, acquisito di diritto e gratuitamente al patrimonio comunale.

16.2. Tale apparente deviazione dal sistema delle responsabilità trova un momento di saldatura con i principi generali nella previsione di cui al comma 5 dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001: la demolizione dell’opera conseguente alla sua acquisizione avviene sempre «a spese del responsabile dell’abuso», ovvero del/dei soggetti di cui al richiamato art. 29 del T.u.ed., tra i quali astrattamente il proprietario potrebbe non essere ricompreso.

17. La natura penale dell’illecito consistente nella realizzazione di opere in assenza o totale difformità dal permesso di costruire, per giunta in zone sottoposte a vincolo, ovvero nella effettuazione di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio (art. 44, comma 1, lett. b) e c) del T.u.ed.) fa sì che anche il giudice chiamato a conoscere dal fatto-reato sia coinvolto nel sistema delle tutele a supporto di un corretto sviluppo (o conservazione) del territorio.

18. Per tale ragione, l’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001 contiene una norma, di evidente chiusura del sistema, che al fine di conferire allo stesso concreta effettività demanda al giudice, appunto, l’adozione dell’ordine di demolizione delle opere nell’ambito della sentenza di condanna per i reati di cui al richiamato art. 44, ma soltanto laddove la stessa «non sia stata altrimenti eseguita».

18.1. La disposizione, proprio per la sua (teorica) portata residuale e suppletiva, non contiene una disciplina di dettaglio sovrapponibile a quella prevista per i casi di demolizione intimata dal Comune: a ciò consegue da un lato che i destinatari dell’intimazione si identifichino naturaliter con i soggetti individuati come responsabili nella sentenza di condanna; dall’altro che, quand’anche a scopo conoscitivo venga informata la proprietà, pur incolpevole, ciò risponde all’esigenza di garantirne il necessario coinvolgimento nella susseguente demolizione, senza che tuttavia all’inottemperanza conseguano le conseguenze ablatorie che l’art. 31, comma 3, collega alla mancata esecuzione spontanea dell’ordine comunale.

19. La totale autonomia tra i due distinti procedimenti è un dato acquisito nella prassi e nella giurisprudenza. Essa va tuttavia letta in senso teleologicamente orientato all’obiettivo finale, che è quello di ottenere il ripristino dello stato dei luoghi, sicché eventuali interferenze o indebite commistioni dell’uno nell’altro in tanto rilevano, in quanto invadano indebitamente altrui competenze, ostacolando il raggiungimento di tale obiettivo. Diversamente opinando la duplicazione dei procedimenti si paleserebbe a dir poco diseconomica, essendo sufficiente l’utilizzo da parte dell’Amministrazione preposta al controllo dello strumentario giuridico a sua disposizione per garantire il ripristino del corretto assetto del territorio, oltre che della legalità lesa con la realizzazione dell’intervento abusivo. Il legislatore, cioè, ha voluto far convergere verso l’unico risultato atteso due strade ipoteticamente separate: laddove la prima, ovvero quella per così dire fisiologicamente preposta allo scopo, subisca deviazioni, subentra la seconda, che in quanto successiva ad un accertamento di responsabilità effettuato in sede giudiziaria, non ammette deroghe ovvero tolleranze alcuna. I percorsi, dunque, non sono paralleli, ma convergenti, in quanto inevitabilmente tutte le modifiche legittimamente apportate dal Comune con le proprie scelte non possono non incidere sul perimetro oggettivo dell’intimazione del giudice.

20. La vera differenza, dunque, tra i due autonomi procedimenti, ove riguardati dall’ottica dei presupposti, risiede nel fatto che a monte dell’ordine del giudice si pone l’accertamento di un reato, nei suoi elementi costitutivi, materiale e psicologico (indifferentemente il dolo o la colpa, trattandosi di illecito penale di tipo contravvenzionale) e quindi del responsabile della sua commissione; laddove a monte dell’intimazione da parte del Comune si colloca lo stesso fatto, ma valutato quale abuso ex se, integrante un illecito amministrativo, i cui effetti la demolizione intimata (anche) al proprietario incolpevole ha la finalità di cauterizzare.

21. L’esecuzione della demolizione disposta dal Comune è soggetta a regole diverse rispetto a quelle che sovrintendono a quella intimata dal Pubblico ministero. In particolare, di essa si occupa l’art. 41 del d.P.R. n. 380 del 2001, che nella versione vigente ratione temporis prevedeva il ricorso anche alla trattativa privata, sulla base di una valutazione tecnico-economica predisposta dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio competente e approvata dalla Giunta comunale, per individuare le ditte affidatarie. La norma è stata di recente novellata dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, che ha avocato agli uffici territoriali del Governo la relativa competenza in caso di mancata attivazione del Comune entro il termine di 180 giorni dall’accertamento dell’abuso, fermo restando l’avvalimento degli uffici del comune nel cui territorio ricade l’abuso edilizio da demolire per ogni esigenza tecnico-progettuale. «Per la materiale esecuzione dell’intervento, il prefetto può avvalersi del concorso del Genio militare, previa intesa con le competenti autorità militari e ferme restando le prioritarie esigenze istituzionali delle Forze armate» (art. 41, comma 1, secondo periodo). Come pure rimarcato dal T.a.r. per la Toscana la modifica, siccome non riguarda la gestione dell’esecuzione da parte del giudice penale, non ha alcun impatto sulle considerazioni sin qui svolte.

22. Accanto alle (oggettive) difficoltà di mettere in pratica le disposizioni sopra richiamate, al di fuori peraltro di un quadro programmato di opere pubbliche, si sono da sempre poste anche quelle di natura economico-finanziaria, in quanto spesso le amministrazioni locali sono prive delle risorse finanziarie necessarie a far fronte al fenomeno dell’abusivismo edilizio dando seguito alle ingiunzioni demolitorie.

23. Proprio al fine di rafforzarne l’effettività, troppo spesso rimasta sulla carta come dimostrato dalla scarsa incidenza casistica delle demolizioni rispetto agli abusi accertati, il legislatore, con il d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla l. 20 novembre 2003, n. 326, ha istituito presso la Cassa Depositi e Prestiti un apposito Fondo, denominato significativamente « Fondo per le demolizioni delle opere abusive», al quale i Comuni possono attingere finanziamenti per procedere alle esecuzioni in danno, estendendo espressamente la facoltà di farvi ricorso ai casi di demolizione disposta dall’autorità giudiziaria. La norma ha notoriamente creato problematiche interpretative in ordine all’inquadramento della natura giuridica dei prestiti elargiti e alla loro incidenza sul piano contabile, ma per quanto qui di interesse costituisce una innovativa risposta alle evidenziate difficoltà economiche, che troppo spesso hanno rappresentato il motivo, se non il pretesto, per non dare seguito alle ingiunzioni a demolire, con quanto ne è conseguito in termini di consolidarsi di situazioni di incertezza giuridica, degrado e deterioramento della qualità del suolo. L’idea di considerarla solo uno dei possibili strumenti per realizzare politiche di buon governo del territorio è poi confermata dal fatto che essa si inserisca nell’ambito della disciplina del c.d. “terzo condono”, volta a favorire la regolarizzazione degli abusi edilizi di minore entità commessi sino a una certa data -irrigidendone i requisiti rispetto alle sanatorie precedenti – ma nel contempo facendosi carico di eliminare quelli non sanabili o comunque non sanati.

24. La reciproca autonomia fra la demolizione ordinata dal giudice penale e i poteri sanzionatori del Comune è dimostrata dal fatto che sono soggette al sindacato del giudice dell’esecuzione penale le deliberazioni comunali sopravvenute che, a vario titolo, sottraggano alla demolizione l’opera abusiva, in tal modo impedendo che l’ordine impartito con la sentenza di condanna sia eseguito ed, anzi, imponendone la sospensione e/o il ritiro (cfr. Cass. pen., sez. III, 10 febbraio 2021, n. 20941; id., 23 novembre 2021, n. 46194 […]).

25. Al di fuori di tali ipotesi, tuttavia, come del resto riconosciuto anche dal T.a.r. per la Toscana, «il coordinamento fra l’intervento del giudice penale e quello generale di carattere amministrativo è destinato infatti a realizzarsi nella fase esecutiva e non in quella cognitoria (fra le moltissime, cfr. Cass. pen., sez. III, 13 novembre 2020, n.1300; id., 14 febbraio 2000, n. 702)». Il che significa che un coordinamento deve pur sempre esserci, in quanto se così non fosse, come già detto, i due procedimenti potrebbero sfociare in esiti antitetici, anche in relazione ai soggetti coinvolti, ovvero, più banalmente, duplicare spese, sia di progettazione che di esecuzione. Pur restando il pubblico ministero il regista dell’operazione che nasce dalla sua diffida e il giudice dell’esecuzione l’autorità competente a conoscere delle eventuali controversie insorte in itinere, non si può infatti escludere che vengano a crearsi punti di contatto tra i due procedimenti.

26. La disposizione contenuta nell’art. 32, comma 12, del d.l. n. 269 del 2003, come ulteriormente dettagliata dal decreto del 23 luglio 2004 del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dall’apposita circolare n. 1254/04 della Cassa Depositi e prestiti, con il suo richiamo esplicito anche alle esecuzioni disposte dal giudice penale, costituisce un innegabile tentativo di creare un trait d’union pure formale tra i due distinti procedimenti, valorizzando il ruolo centrale dei Comuni in quanto preposti alla vigilanza sul (proprio) territorio. La circostanza peraltro che in essa si faccia riferimento solo ai Comuni quali soggetti titolati ad accedere al previsto finanziamento, così tagliando fuori, ad esempio, le altre amministrazioni competenti in relazione ai vincoli paesaggistici ed ambientali che ai sensi dell’art.27, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, hanno egualmente titolo a procedere alle demolizioni di loro iniziativa (Soprintendenze e Regione), ne rafforza il ruolo centrale nella gestione delle relative attività.

Ciò ha trovato altresì conferma nel punto 2 della circolare n. 1254/04 della Cassa Depositi e Prestiti, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 5 novembre 2004, laddove si afferma, appunto, che «gli unici soggetti legittimati a richiedere le anticipazioni a valere sulle risorse del Fondo sono i Comuni, anche nell’ipotesi in cui alla demolizione debba provvedere altra autorità pubblica (autorità giudiziaria, soprintendenze, prefetti, ecc». Salvo precisare, correttamente, che «per coprire le spese da sostenersi in ordine ai provvedimenti demolitori, tali soggetti, [autorità giudiziaria compresa], dandone contestuale comunicazione all’Istituto, devono rivolgersi all’amministrazione comunale territorialmente competente, che è l’unico interlocutore della Cassa Depositi e Prestiti per quanto concerne le procedure di finanziamento». Trattandosi cioè di interventi originariamente di competenza del Comune, appare logico che la legge abbia previsto di imputare a tale Ente le spese di demolizione delle opere abusive, indipendentemente dal fatto che siano eseguite dal Sindaco, dal Magistrato o da altra Autorità di controllo.

27. Va detto che di regola il coinvolgimento del Comune dovrebbe collocarsi a valle della progettualità esecutiva del pubblico ministero, che deve attivarsi al riguardo, preoccupandosi anche dell’affidamento dell’incarico e dell’indicazione dell’importo, salvo, appunto, comunicarla all’Amministrazione comunale, affinché si faccia carico di assumere l’anticipazione delle relative somme da parte della Cassa Depositi e prestiti previa verifica della regolarità della documentazione trasmessa. Il Comune cioè provvederà al pagamento delle somme indicate dal magistrato, in favore del soggetto che avrà effettuato la demolizione, salvo poi procedere al recupero – anche tramite iscrizione nel ruolo di riscossione dei tributi – dal soggetto responsabile.

[…]

29. La diffida impugnata […] addebita le somme spese dal Comune per la demolizione dell’abuso ai soggetti che ne sono stati dichiarati responsabili in sede di giudizio penale […]. Tale individuazione non costituisce una scelta discrezionale dell’Amministrazione, ma dà attuazione ad una precisa disposizione normativa, che con riferimento all’ingiunzione a demolire n. […], va ravvisata nella previsione di cui all’art. 31, comma 3, del T.u.ed.; in relazione all’intimazione del P.M., si radica nella sentenza del Tribunale. A ben guardare, dunque, l’individuazione del provvedimento a monte dell’esecuzione d’ufficio – l’ordinanza n. […] ovvero quella del pubblico ministero del 2012 o entrambe – appare neutra rispetto all’obbligo di sopportare i costi della demolizione. Essa infatti, seppure intimata (anche) al proprietario, dal punto di vista dei costi grava -solo- sul responsabile.

30. Né ad escludere tale coinvolgimento può bastare la circostanza che il Comune […] ha erroneamente rivolto l’ordine demolitorio al solo legale rappresentante della Società proprietaria del bene all’attualità: ciò sia in quanto per lo meno l’appellato era stato comunque reso edotto formalmente dell’atto, che gli era stato comunicato formalmente, sia perché lo stesso, insieme agli altri, resta responsabile dell’abuso, sicché niente gli impediva di chiedere di essere coinvolto nelle scelte esecutive, ove interessato a contenerne i costi, ovvero di rivalersi sulla (nuova) proprietà per non averlo interessato al procedimento.

31. La circostanza poi che egli sia responsabile dell’abuso consegue inequivocabilmente alla sentenza penale, non rilevando in senso contrario il contenuto di patteggiamento e non di condanna. Con riferimento agli abusi edilizi, infatti, la giurisprudenza penale ha da sempre operato ritenendo imprescindibile l’irrogazione della sanzione demolitoria nei confronti degli imputati, sì da equiparare a tale scopo la relativa pronuncia a quella di condanna, nominativamente prevista dall’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001.

32. In sintesi, pur avendo il Comune attivato un nuovo procedimento ripristinatorio nei confronti della Società, esso non può far venire meno l’accertamento delle responsabilità sottese al giudizio penale dal quale è scaturita la precedente intimazione. La procedimentalizzazione dell’esecuzione della demolizione prende l’avvio, infatti, con l’individuazione del responsabile dell’abuso e si chiude con l’addebito delle spese allo stesso, vuoi che la demolizione sia stata effettuata dal proprietario, vuoi che a provvedere sia stato il Comune, previa acquisizione del bene, ovvero altra Autorità che ne ha competenza, quale in particolare il giudice penale.

33. L’ordine di demolizione irrogato in sentenza, costituendo una misura amministrativa caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell’organo istituzionale al quale ne è appunto attribuita l’applicazione, non passa in giudicato essendone sempre possibile la revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità intervenuti anche successivamente.

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