Conferenza di servizi

TAR Campania – Napoli, Sez. VII, Sent. 23.10.2023 n. 5768

Deve, in primo luogo e in linea generale, farsi richiamo ai principi che governano i procedimenti amministrativi che vedono necessariamente coinvolte diverse Pubbliche Amministrazioni.

Il principio “di leale cooperazione reciproca” nei rapporti fra gli enti pubblici è stato qualificato, dalla sentenza n. 359 del 1985 della Corte costituzionale, come “principio la cui più elementare e generale espressione sta nell’imposizione del dovere di mutua informazione (art. 3, u.c., legge n. 382 del 1975). Mentre non è senza significato che tale dovere si trovi sancito nella normativa (anche sulle competenze: art. 6, u.c., legge n. 833 del 1978) concernente l’attuazione di un altro valore primario dell’ordinamento: quello della salute (art. 32 Cost.).

Né mancano, quanto al principio di cooperazione nei rapporti fra Stato e Regione in tema di paesaggio, positive valutazioni nella giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 94 del 1985)”.

Dice ancora la Corte costituzionale, esprimendosi con riguardo alla materia della produzione dell’energia (sia pure con riferimento in particolare a quella di fonte nucleare), che:

– “la previsione di un parere, quale espressione del principio di leale collaborazione, esige che le parti della relazione che si viene così ad instaurare si conformino, nei rispettivi comportamenti, a tale principio. Chi richiede il parere deve mettere il soggetto consultato nelle condizioni di esprimersi a ragion veduta: dunque, trasmettendo l’atto oggetto di parere e concedendo un ragionevole lasso di tempo per la formulazione del giudizio. Nel contempo, il soggetto consultato deve provvedere diligentemente ad analizzare l’atto e ad esprimere la propria valutazione nel rispetto del termine fissato”;

– “l’impianto normativo edificato dal legislatore statale si regge su presupposti frutto della combinazione dei molteplici elementi che compongono la materia della produzione dell’energia … Uno di essi è il principio di leale collaborazione, le cui potenzialità precettive si manifestano compiutamente negli ambiti di intervento nei quali s’intrecciano interessi ed esigenze di diversa matrice. Invero, questa fitta trama di rapporti tra interessi statali, regionali e locali determina, sul versante legislativo, una «concorrenza di competenze» (sentenza n. 50 del 2005), cui consegue l’applicazione di quel «canone della leale collaborazione, che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze» (sentenze n. 278 del 2010; n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005)” (sentenza n. 33 del 2011; cfr. anche sentenza n. 240 del 2020).

Per quanto, segnatamente, concerne la conferenza di servizi, il Consiglio di Stato, nel proprio parere n. 890 del 2016 reso sullo schema di decreto legislativo in attuazione dell’articolo 2 della legge n. 124 del 2015 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), ha rilevato che:

– la norma di delega prevede, tra i princìpi e criteri direttivi della riforma, la “definizione, nel rispetto dei princìpi di ragionevolezza, economicità e leale collaborazione, di meccanismi e termini per la valutazione tecnica e per la necessaria composizione degli interessi pubblici nei casi in cui la legge preveda la partecipazione al procedimento delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, in modo da pervenire in ogni caso alla conclusione del procedimento entro i termini previsti” e la “previsione per le amministrazioni citate della possibilità di attivare procedure di riesame”;

– “se la Segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) – riformata in parallelo alla conferenza dalla stessa legge n. 124 … – si riferisce di regola all’avvio delle attività più semplici, in quanto ‘libere’ e non necessitanti di alcun provvedimento autorizzativo, neanche per silentium, la conferenza di servizi si colloca dal lato opposto della scala delle complessità da gestire, e si riferisce alle attività che richiedono provvedimenti di assenso, comunque denominati, più complessi, sia per la presenza di più ampia discrezionalità amministrativa (a fronte di funzioni totalmente vincolate per la SCIA), sia per la più pregnante esigenza istruttoria sulle attività da autorizzare, sia per la presenza di molteplici amministrazioni coinvolte, con interessi pubblici spesso in dialettica tra loro”;

– alla prima ratio della disciplina, vale a dire “sostituire ad una serie di valutazioni separate di singoli interessi pubblici … un ‘dialogo tra amministrazioni’ che conduce ad una valutazione unica, globale e contestuale di tutti gli aspetti coinvolti”, se ne affianca una seconda: “semplificare e accelerare i processi decisionali delle amministrazioni coinvolte, superando l’originario principio di unanimità”; quest’ultima deriva “da una ‘complessità fisiologica’ tipica dei moderni sistemi amministrativi democratici … quella di riconoscere una pluralità di interessi pubblici meritevoli di tutela, non necessariamente collocati dalla legge (e neppure, talora, dalla Costituzione) in un ordine gerarchico o di prevalenza, ma spesso anzi collocati in posizione di equiordinazione. In tale contesto, il contemperamento fra essi viene sempre più spesso realizzato con moduli orizzontali e consensuali, e sempre più raramente con moduli verticali e gerarchici”. […]

Proprio la gravità delle conseguenze che l’articolo 14-ter, comma 7, della legge n. 241 del 1990 fa discendere dalla mancata partecipazione alla conferenza di servizi determina un elevato onere di diligenza in capo all’Amministrazione procedente nel mettere tutti i soggetti interessati nella condizione di intervenire. Al riguardo, il Consiglio di Stato ha affermato che, “premesso che la conferenza di servizi è il luogo, fisico e giuridico, dove devono confluire, per le evidenziate finalità di concentrazione perseguite dal legislatore nella materia, tutte le manifestazioni di volontà delle autorità coinvolte nel procedimento … nondimeno non appare corretto concludere che sia in ogni caso tamquam non esset una manifestazione di dissenso espressa in forma irrituale (e cioè fuori dalla sede conferenziale) da parte di un’autorità preposta alla tutela di un interesse sensibile.

Il principio di leale collaborazione impone indubbiamente alle parti pubbliche di cooperare in vista del perseguimento dell’interesse di cui ciascuna risulti attributaria e di rispettare anzitutto le forme previste dalla legge per la manifestazione della volontà di ciascun soggetto coinvolto nel procedimento” (sezione sesta, sentenza n. 1144 del 2014).