Chiarimenti giurisprudenziali in merito al rapporto tra istanza di condono e successive opere abusive, inapplicabilità della fiscalizzazione per abusi realizzati su immobili vincolati, motivazione del provvedimento demolitorio e partecipazione al procedimento repressivo.

TAR per la Campania, Sez. VI, Sent. 01.07.2025 n.4974

[…] circa i rapporti tra la presentazione della domanda di sanatoria e la successiva esecuzione di opere ulteriori, valga far richiamo alla consolidata giurisprudenza per cui in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente. Difatti, la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell’illecito fino alla sanatoria.

5.2 Con il secondo motivo, l’odierna ricorrente ritiene che il provvedimento sia viziato per difetto motivazione, mancando l’indicazione delle ragioni della irrogazione della sanzione dell’abbattimento, in mancanza peraltro di qualsivoglia comparazione tra l’interesse pubblico ed il sacrificio imposto al privato.

Le censure sono infondate.

Sul punto la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che, in ragione del carattere vincolato del provvedimento, da un lato, costituisce presupposto necessario e sufficiente per l’adozione dell’ordine di demolizione la constatata esecuzione dell’opera in totale difformità ovvero in assenza del titolo edilizio e, dall’altro, lo stesso risulta sufficientemente motivato con l’accertamento dei presupposti previsti dalla legge per la sua dovuta adozione.

Dunque, a fronte dell’accertamento dell’abuso, non occorre una particolare motivazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso stesso, che è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato e nella impossibilità di adottare provvedimenti alternativi, rilevando a tal fine la constatazione che l’intervento è stato posto in essere in assoluta carenza di titolo abilitativo e, pertanto, va sanzionato attraverso il provvedimento nella specie correttamente adottato dall’amministrazione (cfr. C.d.S., sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 62).

[…]

5.3 Sotto connesso aspetto, neppure coglie nel segno l’ultima censura, con cui la ricorrente deduce l’illegittimità della sanzione demolitoria, invocando la possibilità di ricorso alla cd. procedura di “fiscalizzazione” dell’abuso di cui all’art. 34 comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (per cui per le opere eseguite in parziale difformità e quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente dell’ufficio preposto dispone in luogo della demolizione una sanzione amministrativa più elevata).

A confutazione del motivo il Collegio intende richiamare condivisa giurisprudenza con la quale si è chiarito che non è possibile fare applicazione di tale norma per le opere realizzate, come nella specie, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, perché queste non possono essere mai ritenute “in parziale difformità”, atteso che tutti gli interventi realizzati in tale zona eseguiti in difformità dal titolo abilitativo si considerano in variazione essenziale e, quindi, in difformità totale rispetto all’intervento autorizzato (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 21/10/2024, n.1930). In tali casi, l’art. 27, comma 2, prevede sempre la demolizione, senza acconsentire a forme alternative di sanzione, come quella pecuniaria di cui all’art. 34 (cfr., in termini, Cons. St., Sez. VI, 30 giugno 2022, n. 5421). E ancora: “L’art. 32, comma terzo, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede poi che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità del titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totali” (così Cons. Stato, Sez. VI, 30 ottobre 2020, n. 6651).

5.4 È infondato, infine, il motivo con cui è dedotta la violazione delle regole di partecipazione procedimentale.

L’orientamento giurisprudenziale prevalente e condiviso dal Collegio rileva che gli atti sanzionatori in materia edilizia, dato il loro contenuto rigorosamente vincolato sia nell’an che nel quid, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento ai sensi dell’art. 7, L. n. 241 del 1990 e non richiedono apporti partecipativi del soggetto destinatario. L’ordine di demolizione scaturisce dal mero fatto della commissione dell’abuso e, stante la sua natura vincolata, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento e non richiede una specifica motivazione né la valutazione sull’interesse pubblico, che è in re ipsa (T.A.R. Campania, Sez. III 2.12.2014, n. 6302 e 9.12.214, n. 6425; cfr. anche, T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 15.1.2015, n. 233; T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 30.12.2014, n. 13335), dovendo essere emanato senza ritardo (cfr. C. di S., Sez. IV, 2.11.2016, n. 4577).

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