Attività edilizia libera: casistica

TAR Piemonte – Torino, Sez. I, Sent. 16.10.2023 n. 800

Quanto alla seconda parte della censura, è opportuno, invece, rammentare che:

– i manufatti non hanno carattere temporaneo;

– il dehors ha struttura in acciaio rivestita in legno di larice e serramenti in alluminio e vetro ed è chiuso su tre lati nonché appoggiato, in corrispondenza del lato aperto, ad uno dei fronti principali dell’edificio

– secondo deduzioni di parte resistente, rimaste incontestate, il solo dehors (senza tener conto, dunque, dell’ulteriore superficie e cubatura del chiosco) forma nuova SLP per 193,78 mq (docc. 17 e 19 di parte resistente) e determina cubatura aggiuntiva per 533 m.c., pari al 18% del volume -che si cumula, peraltro, a un precedente aumento già assentito di 137 m.c.- a fronte del limite, una tantum, di 150 m.c. ammesso dalle N.T.A. del Piano Regolatore (art. 5 co. 4 p.to 4) (doc. 5 motivi aggiunti di parte ricorrente);

– in due occasioni -OMISSIS- ha chiesto il differimento dei termini per l’ingiunta demolizione, motivandolo con la “complessità delle operazioni di smontaggio dei due fabbricati e la necessità di un congruo tempo per le operazioni necessarie con suolo asciutto per la stabilità dei mezzi di sollevamento” (doc. 21 e 22 di parte resistente);

– la stessa ricorrente ha, poi, proposto istanza di accertamento di conformità e istanza di variante dello strumento urbanistico.

Tutti i superiori elementi fattuali depongono univocamente per la qualificazione del dehors e del chiosco come interventi di nuova costruzione, e, perciò, soggetti a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 D.P.R. 380/2001. In specie, la finalizzazione continuativa alle esigenze dell’attività d’impresa, il documentato aumento volumetrico e di superficie -in eccedenza al limite posto dallo strumento urbanistico- nonché la laboriosa amovibilità (tale da rendere necessari mezzi di sollevamento e precauzioni di cantiere a tutela dell’incolumità pubblica) rivelano un simultaneo carattere di stabilità fisica e permanenza temporale, tipicamente denotativo di trasformazione del territorio e di conseguente incidenza urbanistica.

Si soggiunga che l’art. 3 co. 1 lett. e.5) del TUE indica tra gli interventi di nuova costruzione gli “ambienti di lavoro”, specificando che gli stessi possono essere costituiti anche da prefabbricati o strutture di qualsiasi genere (cfr. T.A.R. Lombardia – Brescia, sez. II, 04/01/2021 n. 4).

A tale fattispecie si conformano i manufatti per cui è causa che, nel loro insieme, compongono un normale ambiente di lavoro esterno alla sagoma dell’edificio, benché collegato e integrato nella medesima funzione aziendale.

Non è, perciò, ad essi predicabile alcuna delle categorie dell’edilizia libera alternativamente richiamate dalla ricorrente. Non la fattispecie di cui all’art. 6 co. 1 e-bis) D.P.R. 380/2001, per mancanza dei necessari tratti di contingenza e stagionalità, né quella di cui alla successiva lett. e-quinquies), essendo evidente che i due manufatti non sono in alcun modo preordinati all’abbellimento estetico dell’edificio, bensì del tutto strumentali all’attività commerciale, onde ampliarne ed agevolarne l’esercizio (cfr. Cons. Stato, sez. II, 13/02/2023 n. 1489 cit.). Neppure la pertinenza urbanistica, la quale presuppone che il bene accessorio abbia dimensioni modeste e ridotte rispetto alla struttura cui inerisce, non potendo generare carico urbanistico (cfr. ex multis T.A.R. Campania sez. II – Salerno, 12/04/2023, n. 819). E, infine, nemmeno la categoria del restauro o risanamento conservativo, nel cui novero sono riconducibili solo le opere che, apportando un consolidamento, un rinnovo o l’inserimento di nuovi elementi costitutivi, rispettino, però, tipologia, forma e struttura dell’edificio (T.A.R. Campania sez. VII – Napoli, 06/02/2023, n. 811).

Quanto poi, allo specifico ambito urbanistico, la consapevolezza dell’incompatibilità delle opere risulta ammessa dalla stessa ricorrente allorché, nella relazione illustrativa alla domanda di variante semplificata al PRG, ha qualificato gli interventi come “non conformi all’attuale PRGC”, attestando che “nel Piano Particolareggiato non sono ammessi incrementi di volumetria rispetto all’edifico esistente” (doc. 42 di parte resistente, pag. 7).

Tenuto conto, pertanto, dell’entità complessiva degli interventi, realizzati con incrementi volumetrici e di prospetti in zona sottoposta a vincolo, in violazione di norme procedurali antisismiche e in assenza di titoli edilizi e paesaggistici, la misura demolitoria è conforme ai prescritti presupposti giuridico-formali e proporzionata alla gravità delle violazioni contestate; sicché anche la terza parte della censura non è meritevole di accoglimento.

Invero, per giurisprudenza ormai consolidata un abuso edilizio va valutato secondo una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, non essendo consentito scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, atteso che il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio non deriva da ciascun intervento a sé stante ma dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (Cons. Stato, Sez. VI, 6191/2020; T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 20/07/2021, n. 5028). Ciò che vale a giustificare anche la demolizione del chiosco insieme al dehors