Vincolo cimiteriale – Situazione di inedificabilità ex lege – Carattere assoluto – Recepimento da parte dello strumento urbanistico – Non occorre – Interventi ammissibili – Ampliamento – Condizioni

Consiglio di Stato, sez. VI, 15.10.2018 n. 5911

La consolidata giurisprudenza del Consiglio è nel senso che:
– il vincolo cimiteriale determina una situazione di inedificabilità ex lege e integra una limitazione legale della proprietà a carattere assoluto, direttamente incidente sul valore del bene e non suscettibile di deroghe di fatto, tale da configurare in maniera obbiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti il regime di appartenenza di una pluralità indifferenziata di immobili che si trovino in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni pubblici;
– il vincolo ha carattere assoluto e non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici, sia di opere incompatibili con il vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che la fascia di rispetto intende tutelare, quali le esigenze di natura igienico sanitaria, la salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati alla inumazione e alla sepoltura, il mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2016, n. 949);
– il vincolo, d’indole conformativa, è sganciato dalle esigenze immediate della pianificazione urbanistica, nel senso che esso si impone di per sé, con efficacia diretta, indipendentemente da qualsiasi recepimento in strumenti urbanistici, i quali non sono idonei, proprio per la loro natura, ad incidere sulla sua esistenza o sui suoi limiti (Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 2013, n. 5544);
– la situazione di inedificabilità prodotta dal vincolo è suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque solo per considerazioni di interesse pubblico, in presenza delle condizioni specificate nell’art. 338, quinto comma;
– l’art. 338, quinto comma, non presidia interessi privati e non può legittimare interventi edilizi futuri su un’area indisponibile per ragioni di ordine igienico-sanitario, nonché per la sacralità dei luoghi di sepoltura;
– il procedimento attivabile dai singoli proprietari all’interno della zona di rispetto è soltanto quello finalizzato agli interventi di cui al settimo comma dell’art. 338, settimo comma (recupero o cambio di destinazione d’uso di edificazioni preesistenti); mentre resta attivabile nel solo interesse pubblico, come valutato dal legislatore nell’elencazione, al quinto comma, delle opere ammissibili ai fini della riduzione, la procedura di riduzione della fascia inedificabile (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 2014, n. 3410; sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3667; ivi riferimenti ulteriori).
(…)
Su questa premessa ricostruttiva, la doglianza del ricorrente, secondo cui il limite della percentuale di ampliamento (prescritta dall’ultimo comma dell’art. 338 del t.u.l.s.) dovrebbe essere riferita all’intero edifico e non già alla singola unità abitativa, non può essere accolta, sia pure con le seguenti precisazioni rispetto a quanto affermato dal giudice di prime cure.
La disposizione invocata ricollega il limite percentuale della facoltà di ampliamento all’edificio nel suo complesso.
Tuttavia, per evitare facili elusioni della suddetta prescrizione – segnatamente: in caso di proprietà divisa, ove fosse consentito a ciascun proprietario di realizzare sulla singola unità abitativa l’incremento percentuale assoluto, si otterrebbe il risultato o di ammettere, in relazione all’edificio, complessivamente considerato, un ampliamento eccedente la percentuale ammessa, ovvero di privare gli altri proprietari di analoga facoltà – deve ritenersi che il singolo condomino sia legittimato a chiedere l’ampliamento volumetrico nei soli limiti percentuali calcolati in relazione alle dimensioni della propria unità immobiliare.
Restano, tuttavia, salve le ipotesi (nessuna delle quali ricorrenti nel caso in esame) in cui: l’istanza sia proposta congiuntamente da tutti i proprietari, con progetto relativo all’intero immobile; ovvero, il singolo condomino corredi la propria istanza con un atto d’obbligo degli altri comproprietari (si osserva che l’atto d’obbligo, tradizionalmente qualificato in termini di servitù obbligatoria, dovrebbe oggi integrare la fattispecie, ora prevista dall’art. 2643, n. 2-bis, c.c., di contratto che trasferisce o modifica i «diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale»).