TAR Campobasso, 05.03.2018 n. 117
Il combinato disposto – nell’ordine logico – dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1 e dell’art. 139, comma 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo – come modificato con il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 – cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni (Cfr. Cons. St., A.P., 22 dicembre 2017, n. 13).
Il termine di efficacia di 180 giorni del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 non decorre dalla pubblicazione della sentenza dell’Adunanza plenaria 22 dicembre 2017, n. 13, avendo il principio da questa affermato natura dichiarativa e, come tale, naturalmente portata retroattiva.
L’Adunanza Plenaria 22 dicembre 2017, n. 13, chiamata a pronunciarsi anche sugli effetti della propria pronuncia sulle numerosissime proposte di vincolo pendenti in relazione a procedimenti mai conclusi, ha affermato l’ulteriore principio di diritto secondo cui “Il termine di efficacia di 180 giorni del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 decorre dalla pubblicazione della presente sentenza”; ciò sulla premessa per cui l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato può modulare la portata temporale delle proprie pronunce, in particolare limitandone gli effetti al futuro, al verificarsi delle seguenti condizioni: a) un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare; b) l’esistenza di un orientamento prevalente contrario all’interpretazione adottata; c) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socio-economiche, condizioni ritenute sussistenti nel caso di specie.
Nella pronuncia in esame il TAR ha tuttavia ritenuto di doversi motivatamente discostare da tale principio di diritto che, ai sensi dell’art. 99, comma 3, c.p.a., vincola le sole Sezioni del Consiglio di Stato ma non anche il giudice di primo grado per il quale opera il principio del libero convincimento e soprattutto quello costituzionale di soggezione “soltanto alla legge” exart. 101 Cost..
A tale conclusione il TAR è pervenuto proprio alla luce del principio di diritto espresso dalla successiva recentissima pronuncia della medesima Adunanza Plenaria 23 febbraio 2018, n. 1 la quale, disattendendo una espressa richiesta della parte appellata finalizzata a limitare pro futuro il principio di diritto – laddove a sè sfavorevole – ha escluso che il principio di diritto affermato possa ritenersi applicabile soltanto a rapporti futuri e non anche a quelli in corso, avendo gli enunciati giurisprudenziali natura formalmente dichiarativa, rammentando al riguardo che la diversa opinione “finisce per attribuire alla esegesi valore ed efficacia normativa in contrasto con la logica intrinseca della interpretazione e con il principio costituzionale della separazione dei poteri venendosi a porre in sostanza come una fonte di produzione” secondo quanto affermato da Cons. St., A.P., 2 novembre 2015, n. 9.
La limitazione pro futuro degli effetti della sentenza interpretativa dell’Adunanza plenaria equivale infatti alla creazione di una norma transitoria, in funzione para normativa che non può vincolare il giudice di primo grado, in quanto recessiva rispetto al principio costituzionale di soggezione del giudice “soltanto alla legge”, ex art. 101 Cost., laddove la legge, come interpretata dall’Adunanza Plenaria, è, nel caso di specie, chiaramente nel senso della cessazione del vincolo preliminare – qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni – anche per le proposte di vincolo formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004.
Inoltre, a partire da Cass. civ., sez. un., 11 luglio 2011 n. 15144 e numerose altre successive – tra cui 21 maggio 2015, n. 10453; 17 dicembre 2014, n. 26541; 4 giugno 2014, n. 12521, 13 febbraio 2014, n. 3308 e, da ultimo, Cass. civ., sez. un., 13 settembre 2017, n. 21194 – si è costantemente affermato che, per configurare il c.d. prospective overruling e quindi per attribuire carattere innovativo, con decorrenza ex nunc, all’intervento nomofilattico, occorra la concomitante presenza dei seguenti tre presupposti: a) l’esegesi deve incidere su una regola del processo; b) l’esegesi deve essere imprevedibile ovvero seguire ad altra consolidata nel tempo tale da considerarsi diritto vivente e quindi da indurre un ragionevole affidamento; c) l’innovazione comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa.
Tale impostazione è stata sempre seguita anche dal giudice amministrativo: cfr. in termini (ma non presa in considerazione dalla decisione in esame), Cons. St., A.P, 2 novembre 2015, n. 9 (§ 4), in cui si afferma esplicitamente l’impossibilità di trasformare “…una sequenza di interventi accertativi del contenuto della norma in una operazione di creazione di un novum ius, in sequenza ad un vetus ius, con sostanziale attribuzione, ai singoli arresti, del valore di atti fonte del diritto, di provenienza dal giudice; soluzione non certo coniugabile con il precetto costituzionale dell’art. 101 Cost.”); successivamente, nello stesso senso si veda Cons. St., sez. III, ord., 7 novembre 2017, n. 5138.
Nel caso di specie non ricorre invero alcuna delle tre condizioni per l’operatività dell’overulling: l’esegesi non incide infatti su norma processuale ma su una sostanziale disciplina del procedimento amministrativo; l’innovazione non comporta effetti preclusivi del diritto di azione o di difesa; non si era formato un diritto vivente sul punto controverso (tanto che era stato necessario rimettere la questione alla Plenaria proprio per la presenza di un contrasto di giurisprudenza maturato in seno al Consiglio di Stato).
Ad avviso del Tar deve dunque essere ribadita la natura dichiarativa e come tale naturalmente retroattiva del principio di diritto affermato dalla Adunanza Plenaria con la sentenza 22 dicembre 2017, n. 13, con conseguente illegittimità degli atti impugnati in quanto adottati sull’erroneo presupposto della perdurante efficacia del vincolo preliminare discendente da una proposta di vincolo risalente al 2003.