Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione intervengono facendo chiarezza sugli obblighi del proprietario del sito inquinato, non responsabile della contaminazione

Corte di Cassazione, SS.UU., Sentenza 01.02.2023 n. 3077

“Va esclusa una indicazione comunitaria alla riparazione del danno […] a carico di chi non abbia svolto l’attività professionale di operatore, bensì venga chiamato a rispondervi nella veste di titolare di diritti dominicali […] non potendo la mera enunciazione di indizi di posizione, per un’attività non classificata dallo stesso d.lgs. n. 152 del 2006 a rischio d’inquinamento, sostituire di per sé la prova del predetto necessario nesso causale”.

La non assimilabilità delle m.i.s.e. alle misure di prevenzione, nonostante anche le prime possano materialmente assolvere ad una finalità di contenimento del danno ambientale, sembra allora e con evidenza correlarsi al fatto che solo le seconde – significativamente all’inizio dell’elenco delle iniziative perseguibili – implicano un danno ancora non presente, su tale senso convergendo le formule della minaccia imminente, il rischio sufficientemente probabile, lo scenario di un futuro prossimo, insieme alle nozioni di impedimento al realizzarsi della minaccia”.

“L’inapplicabilità degli artt. 2050 – 2051 c.c. […] discende direttamente dalla natura interamente speciale propria del codice dell’ambiente; si è cioè di fronte, dopo l’introduzione della Direttiva 2004/35/CE, ad un corpo normativo appositamente dedicato, come chiarito in dottrina, alla tutela dell’illecito ecologico, ormai slegato dal sistema regolativo dell’illecito civile ordinario di cui agli artt. 2043 e s. c.c., come si evince dalla minuta descrizione tanto del regime di responsabilità quanto dei soggetti responsabili — e tra essi, primariamente, gli operatori professionali — e soprattutto del perimetro di applicazione della disciplina, il quale viene escluso nei casi di fenomeni naturali di carattere eccezionale, incontrollabili o inevitabili; ne discende l’insussistenza di una comunanza operativa fra il regime di responsabilità per danno ambientale di cui alla Parte VI cod. amb. e quello per cose in custodia di cui all’art. 2051 c.c., mentre la nozione di attività pericolosa dell’art. 2050 c.c. appare piuttosto trasfigurata nel codice, per altri fini, nella nozione di attività professionale di cui all’art. 298bis; anche la giurisprudenza amministrativa, valorizzando i compiti di realizzo delle opere di bonifica in capo alle amministrazioni e nella prospettiva dell’attribuzione ad esse del privilegio sul fondo a carico del proprietario incolpevole, ha escluso il possibile ricorso alla responsabilità da custodia a carico di costui (Consiglio di Stato Sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 56 e Sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376; con chiarezza rinviando ad una nozione di sussidiarietà, Consiglio di Stato, Sez. V, 30 luglio 2015, n.3756).